
Ricordo ancora perfettamente il momento. No, non ricordo il giorno ma l’istante sì.
Stavo guidando su una stradina di montagna, lei era al mio fianco con le mani sul grembo in dolce attesa. Un sussulto. Ero particolarmente attento a lei in quel periodo in modo diverso da come lo ero stato prima. Sembrava più fragile. Ma non lo era affatto.
“Sono arrivate” disse. “Sono arrivate!
Non capivo. Erano arrivate. Nel suo corpo di donna gravida si erano accese due nuove presenze, due anime. Non era più da sola. Le aveva distintamente sentite. Era senza fiato, ascoltava tutta quella vita dentro di lei. Sentiva nuove emozioni, vedeva cose nuove. Nelle settimane successive dipinse anche nuovi quadri completamente diversi dai suoi precedenti.
Io ero inconsapevole avevo immaginato la scena come se due stelle fossero cadute dal cielo e si fossero infilate dentro il suo ventre. Da gran lettore di fantascienza ho dipinto il quadro coi colori che avevo in testa. Ho vissuto quel momento e il tempo che seguì con una certa meraviglia. Chiedevo, avrei voluto che mio spiegasse. Ma ero inconsapevole, come un testimone di qualche fatto cosmico straordinario raccontato mentre accadeva. Ma incapace di osservarlo coi propri occhi perché non avevo gli occhi per vedere davvero la meraviglia che stava accadendo.
Una donna può farlo. Lei ha le chiavi per ricevere la vita. Fino a poco prima erano due corpi in crescita nutriti dal sangue di lei, dalla sua carne, gal suo grasso, dalla sua stessa vita ma erano solo carne. Poi d’improvviso si sono accese alla vita e lei le ha sentite.
Io cieco ascoltavo il racconto dell’esplosione di una supernova, della luce che accende l’oscurità, dei pianeti e delle stelle che d’improvviso colmano il vuoto. Ma non potevo che ascoltare, nel buio. Immaginare l’inimmaginabile.
Fatti raccontare la conquista dell’Everest, per quanto assurda. Fatti raccontare il tuffo col paracadute dal tetto del mondo. Fatti raccontare il sapore delle lasagne di nonna! Fatti raccontare l’incanto del bacio della persona che ami quando tutti e due vibrate alla stessa frequenza.
E io ho amato la radio e la frequenza era il mio modo di entrare nel cuore della gente con le vibrazioni delle canzoni che amavo. Con le storie che raccontavo. Con i saluti che trasportavo come un postino dell’etere da un punto all’altro del mio piccolo mondo.
E l’istinto quel giorno mi disse che quella strada era la via che avrei dovuto seguire per il resto della mia vita. Una strada da percorrere al buio, col bastone per indovinare dove inizia il ciglio della strada per non cadere nel fosso. Senza un cane guida. Per non perdermi.
E sentivo che non ero io a poter decidere la mia sorte e che avrei dovuto farmi guidare, seguire la corrente. Non quella del mondo, no: una forza che mi guida se la ascolto e che non mi ha mai abbandonato. Se non ero io ad allontanarmi ed era quello il mio libero arbitrio, seguire quella via o perdermi nel buio della mia condizione di uomo della terra. Di maschio del mondo.
Un essere pieno di forza, di sogni e desideri, orgoglioso, caparbio, capace di affrontare ostacoli impervi e senza nemmeno saperlo sempre con una destinazione già fissata. Ma non è importante la meta, è il viaggio che conta.
Potevo ribellarmi? Sì ma in nome di cosa? Della carriera? Voltarmi e dire sai che c’è? Ho il diritto di vivere la mia vita! La mia vita? Era quella, erano tre vite a cui avevo prestato la mia carne. Senza neanche troppa fatica una sera d’estate, probabilmente in macchina.
Da tempo mi chiedevo se la vita di un uomo fosse quella tanto sbandierata: conquista, lascia il segno e fuggi verso nuove terre. Senza mai vedere il germoglio di ciò che avresti potuto creare.
E quando fu davanti al mare si sentì un coglione perché più in la non si poteva conquistare niente. Uomini, ma anche donne ingannate, nell’illusione della ricchezza, della lussuria, dei punti fermi degli uomini di questo mondo, il lavoro, la carriera, l’osanna della comunità produttiva e la pensione. Il miglio verde. Da una cella alla morte del corpo senza mai nessuna emozione vera come una vita che nasce. Non posso averla dentro di me ma posso sentirne il rumore e il calore. Sono maschio, un umano che non sa cosa sia la vista. Un cieco che crede che tutti siano così e invece no: ci sono umani che vedono cose che noi umani non vedremo mai. E sono donne.
E noi potremo solo farcelo raccontare. Da loro.
Però non lo capiremo davvero nonostante gli sforzi. Ma almeno ci avremo provato, a toccare il cielo quando cadono le stelle.
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